“L’occhio compie il prodigio di aprire all’anima ciò che anima non è:
il gaio reame delle cose e il loro dio, la luce”. (Marcel Marleau-Ponty)
Per la prima volta viene messa a confronto la variegata esperienza artistica di Luporini: parole ed immagini, l’attività del pittore e quella di autore, che fin dagli anni settanta lo lega alla produzione musicale di Giorgio Gaber.
Questo eclettismo riflette la particolare natura dell’artista: attivo all’interno di scuole come il realismo esistenziale e la metacosa; eppure solitario e schivo. Luporini ha attraversato la storia del nostro paese con assoluta fedeltà alla sua interpretazione dell’arte e dell’artista con una coerenza che, se da un lato lo ha tenuto fuori dal grande mercato, dall’altro lo ha sempre posto positivamente e liberamente di fronte alla critica.
La congiunzione tra il pensiero e la naturalità, scomposta dai toni puramente paesaggistici reinterpretata attraverso la metafisica del pensiero e del sogno – l’apparizione improvvisa di solitarie figure senza volto – è elemento distintivo e discriminante della sua pittura, che caratterizza la prima esperienza milanese dal ritorno a Viareggio, sua terra natale.
Anche Luporini ci restituisce un’ immagine della nostra terra: quella solitaria, introspettiva, quasi inconsistente eppure così densa di riferimenti, di umori, di stati d’animo estranei ai clamori estivi.